Abisso Spiz Tonezza

Visto che la precedente uscita di armo era terminata con un mio “niente di fatto” sulla parte di armo è stata organizzata da Elisa un’altra uscita: l’abisso Spiz Tonezza. Già giovedì ci siamo ritrovati in sede a preparare i sacchi, preparati personalmente sotto la supervisione di Elisa. Alla fine avevamo 3 sacchi con circa 150 metri di corda e una trentina di moschetti con relative placchette, il tutto ordinato e numerato.

Partenza la domenica per me, Elisa, Josef, Renzo e Luca (solita levataccia delle 6 di mattina) e arrivo al parcheggio della chiesetta intorno alle 9 e 30. Ci siamo cambiati (non mancano certe le battute su tute nuove troppo pulite, tute vecchie con misteriosi squarci e imbraghi che fanno mooolta fatica a chiudersi) e chi di noi va ancora a carburo ha preparato la relativa bombola. La prima grossa risata della giornata ce la regala Luca, stupito del fatto che dalla bombola del carburo, nonostante la regolazione dell’acqua sia aperta al massimo, non esca acqua. Eppure era appena stata revisionata e ingrassata con del burro di cacao! Dopo un po’ di tentativi ha trovato il modo per farla funzionare, ovvero procedendo a saltelli a mò di allegro coniglietto, cosa che farà per il resto della giornata.

Ci ricomponiamo, sistemiamo il tutto sulla macchina e ci avviamo lungo un bordo strada a dir poco “precario” che ci porta in breve tempo all’ingresso della grotta. Qui trovo uno degli ingressi più strani che abbia mai visto nella mia breve vita speleologica: a lato di una strada di montagna piuttosto stretta, un muretto delimita l’accesso alla grotta. Bisogna fare in fretta ad attraversare la strada e infilarsi dentro, altrimenti c’è un alto rischio di investimento. Il mio “unico” compito di oggi è armare la grotta, quindi mi aggancio il primo dei 3 sacchi e metto giù la prima corda. Piccolo saltino, corrimano, piccolo pozzo e la prima corda da 15 m è già andata. Meandrino in opposizione, corrimano di sicurezza, armo doppio e di nuovo giù. E il primo sacco è finito. Comincio a prenderci un attimo la mano, i timori che avevo non svaniscono ma restano comunque “sotto controllo”. Elisa è sempre dietro di me a controllare, dare consigli e “sgridare” in caso faccia qualche stupidata (cosa che stranamente non è successa). Mi attacco il secondo sacco e mi avvio in un altro meandro. Trovo subito il pozzo da 18, con doppio armo esattamente sopra il pozzo. Piccolo corrimano, un po’ di opposizione per arrivare a fissare la partenza e giù, un paio di metri sotto dove trovo subito un frazionamento. Fatto questo arrivo subito alla base del pozzo e dò il libera. Sempre avanti!

Poco dopo vedo un attacco per corrimano, vedo il pozzo ma ho qualche dubbio sul come procedere. A sinistra trovo diversi attacchi, ma sembrano tutti singoli e troppo vicini al meandro, a destra vedo un buon punto per un doppio armo. Se avessi l’altezza di Elisa ci arriverei senza problemi in opposizione tra le 2 pareti, ma dall’alto dei miei 168 cm non ci provo neanche. A metà strada però c’è una bella placchetta fissa. Peccato che sia la placchetta che il dado che il fix ballino la rumba solo a guardarli. Non ho molta scelta quindi discensore bloccato sull’armo di partenza, longe fissata a questo precario armo e, tanto per stare sul sicuro, l’unghia agganciata alla parete (secondo me Elisa si stava facendo qualche risata nel vedermi, dovevo sembrare un gatto in bilico sopra una vasca da bagno). In questo modo riesco a fissare i 2 ancoraggi. Armo doppio “Ma conosci solo il bulino doppio tu?” e via qualche metro sotto, fino alla sala della ritirata, dove cominciamo a trovare un po’ di acqua. Qui ci raggiungono anche gli altri e ci fermiamo un attimo a mangiare un boccone. Siamo tutti un po’ infreddoliti, soprattutto perché le procedure di armo vanno un po’ a rilento, quindi con poca voglia prendo il terzo e ultimo sacco e mi avvio verso l’ennesimo meandro. Tempo di incastrare il sacco un paio di volte e arrivo a quello che penso sia la partenza del corrimano, salvo poi il dover tornare indietro di un paio di metri perché sarebbe stato più “igienico”, a detta di Renzo, partire qualche metro prima. Corrimano, un paio di ancoraggi, qualche consiglio di Elisa e sono in testa al pozzo. Una volta sceso scopro che (con la stessa corda) devo traversare un pozzetto, superare una lama e ripartire con la discesa. Qui ammetto di essere andato un po’ in crisi, sia per la stanchezza sia perché i traversi non sono la cosa più comoda e tranquilla dell’armo. Riesco comunque grazie a qualche dritta di Elisa ad armare questo traverso e la relativa ultima calata. A questo punto ho finito la riserva di corde, moschettoni e forse sanità mentale, quindi una volta arrivati tutti propongo di disarmare. Fortunatamente la prendono tutti come una battuta, e con Josef riparto verso l’uscita. Elisa, Luca e Renzo si daranno il cambio in risalita per disarmare.

Durante la salita ho modo di riflettere sulle implicazioni dell’armo. Nel mondo speleologico l’armo è il punto cardine di ogni visita o di ogni esplorazione. Grazie agli armi possiamo scendere verso l’ignoto, con la sicurezza di poterne uscire. Ai nodi ho affidato la sicurezza non solo mia, ma anche delle persone che sarebbero venute dietro di me. Ogni singola placchetta è stata fissata al massimo e ricontrollata. I moschettoni rivolti nel verso giusto e la chiusura è stata verificata più volte. Alcuni nodi sono venuti al primo colpo (pochi in realtà), altri non mi piacevano e quindi li ho disfatti per rifarli, anche più volte. Ero sicuro che Elisa dietro di me mi avrebbe avvertito in caso avessi fatto qualche grosso errore, ma il più delle volte l’avvertimento è stato circa una gassa un po’ lunga, o un moschettone che frega. A detta di Elisa, niente di particolare, solo alcuni accorgimenti. Ma ho voluto, e dovuto, armare la grotta perché è la naturale prosecuzione del mio percorso speleologico. Non solo per poter accedere all’esame da ISS. Saper armare vuol dire riconoscere gli armi fatti dagli altri e poter prevedere eventuali pericoli. Vuol dire non andare “a rimorchio” ma aprire la strada agli altri, con tutte le sue responsabilità.

Così io e Josef siamo usciti, e dopo poco tempo anche Elisa, Luca e Renzo. Ci siamo avviati verso la macchina, cambiati e siamo ritornati alla base (un po’ di corsa un po’ a lumaca, in base al traffico e alle “mini” che trovavamo), dove ci siamo separati, ognuno soddisfatto, spero, dell’uscita. A me resterà sempre il ricordo della grotta, del primo armo e del bollino giallo, appiccicato da Renzo, con il significato di “approvato”.

Manuel

    Presenti:
  • Manuel R.
  • Elisa A.
  • Renzo S.
  • Josef
  • Luca

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